La stanza aveva un'elettricità diversa da qualsiasi luogo in cui fossi mai stato. Non un hotel, non un appartamento di amici. Uno spazio neutro, sospeso, che avevamo scelto insieme per questo.
Loro erano già lì quando sono arrivato.
Marco, il marito, era seduto su una poltrona di pelle scura. Uomo solido, con quelle spalle da nuotatore e le mani grandi che teneva appoggiate sulle ginocchia. Mi aveva stretto la mano con una forza sincera quando ci eravamo presentati mesi fa, durante quella cena tra amici. Adesso i suoi occhi scuri mi studiavano con una curiosità che non cercava di nascondere.
E poi c'era lei. Giulia. In piedi vicino alla finestra, il vestito color vino che le cadeva lungo il corpo come acqua. La conoscevo da prima di lui, dal corso di pittura. Ricordavo ancora il modo in cui teneva il pennello, quelle dita lunghe e precise. Ma questa sera, nella luce bassa di questa stanza, ogni dettaglio di lei sembrava trasfigurato.
"Leonardo," disse Marco, indicando la poltrona accanto alla sua. "Siediti."
La sua voce era calma, ma c'era una tensione nella mascella, quel piccolo muscolo che si contraeva quando era concentrato. Lo avevo notato anche quella sera al ristorante.
Mi sedetti. Sentivo il peso del loro sguardo su di me. Non come un giudizio, ma come un'esplorazione.
Giulia si avvicinò. Il suo profumo mi raggiunse prima di lei - gelsomino e qualcosa di terroso, come la pioggia sull'asfalto.
"Parliamo di confini," disse lei, gli occhi che passavano da Marco a me.
"Quali confini?" chiesi, cercando di mantenere la voce stabile.
"Quelli che ci siamo raccontati di avere," rispose Marco. "E quelli che forse abbiamo immaginato senza mai ammetterlo."
Giulia si mise in ginocchio sul tappeto, tra le nostre due poltrone. Una posizione che poteva sembrare sottomessa, ma nei suoi occhi c'era una determinazione che ribaltava completamente quella percezione.
"Da dove cominciamo?" mormorò.
Sentii la mano di Marco sulla mia spalla. Un contatto fermo, maschile, che mi sorprese. Non aspettavo quel tocco da lui.
"Dal primo pensiero," disse Marco, la sua voce più bassa del solito. "Quello che è venuto a te, Leonardo, quando hai capito che forse questo poteva succedere."
Respirai. Ricordai quel pomeriggio nel mio studio, quando Giulia era venuta a vedere i quadri. Ci eravamo ritrovati a parlare per ore, e a un certo punto aveva menzionato Marco con una tale intimità, un tale orgoglio, che qualcosa in me si era mosso. Non invidia. Qualcos'altro. Una curiosità su come funzionasse quella intimità. Su come fosse essere incluso in essa.
"È stato quando ho capito che non volevi sostituire nessuno," dissi, guardando Giulia prima, poi Marco. "Ma aggiungere qualcosa. Un'altra prospettiva."
Giulia sorrise, quel sorriso un po' storto che le illuminava solo un lato del viso. "E a te, Marco? Quando è venuto a te il pensiero?"
Lui esitò. Le sue dita stringevano leggermente la mia spalla. "Quando ho visto come Leonardo ti guardava. E invece di sentire gelosia, ho sentito... fascinazione. Volevo vedere attraverso i suoi occhi per un momento."
Il silenzio che seguì non era imbarazzato. Era denso, carico come l'aria prima di un temporale.
Poi Giulia prese la mia mano. La sua pelle era più calda di quanto mi aspettassi. Con l'altra mano, prese quella di Marco.
"Non si tratta di dire," sussurrò. "Si tratta di mostrare."
Mi alzai quando si alzarono loro. Ci trovammo in piedi, un triangolo umano nella stanza semibuia. I nostri respiri iniziarono a sincronizzarsi, un fenomeno strano che avevo letto da qualche parte succede tra persone intimamente connesse.
Marco mi guardò direttamente negli occhi. "Se in qualsiasi momento..."
"Lo so," interruppi. "Lo stesso vale per te."
Giulia fece un passo, riducendo lo spazio tra noi tre. Il suo corpo sfiorò il mio, poi quello di Marco.
Ero l'ospite e il partecipante, lo straniero e il complice. In quel momento, capii che non si trattava di inserirmi in una relazione esistente. Si trattava di creare qualcosa di nuovo insieme, una forma geometrica con un lato in più, con angoli diversi da esplorare.
"Allora," disse Marco, la sua mano che ora non era più sulla mia spalla ma sul mio braccio, in quel gesto che gli uomini fanno tra loro quando c'è complicità. "Esploriamo."
Le nostre tre ombre sulla parete si fusero in una forma unica, e per la prima volta in vita mia, non mi sentii più un uomo solo che guarda una coppia dall'esterno.
Ero dentro il cerchio. Ero parte del disegno. E la notte, lungi dall'essere finita, stava solo cominciando a rivelare i suoi contorni.
